Dopo mezodì, se parte da casa tuti noaltri sinque fioi (Bepi, Maria, Teresa, Giani e Gigi) insieme col popà Ulisse e con la mama Clelia.
Ghe xè na sorpresa, ma no savemo cossa. Pasà le scole e el municipio, femo la pontara de “Toni Conte” (“braghe onte, capeo de paja, conte canaja” disea el popà Ulisse).
Insima ala pontara se ciapava el trozo, che vegnendo zo pimpianeo porta a na valetta freschissima piena de acqua e de verde (Val Liona).
De colpo, el popà tira fora ‘na butiglia de vero da litro, col tapo ermetico e la impiena de acqua fresca de sorgente.
Dopo on po’, col so fare misterioso, el tira fora na polverina magica arancione. La buta drento ala butiglia e la tapa in pressa, fasendo tuto on smisioto drento.
Tuti noaltri semo lì con l’acqualina in boca, pieni de sen. Contando i secondi che me separa da questo ristoro, i me pare eterni.
Pasà qualche minuto, el tapo se verze scopiando e… tuti soto con on goto da impienare posibilmente fin sima.
El ribollire dell’aranciata el gera pari al nostro entusiasmo incontenibile. Tuti volemo el bis, ma purtropo la butiglia, come tuti i ben de sta tera, la sé esauribile.
El pi bon sciampagne de la Francia nol gavaria posudo competere con questa squisiteza. Come conseguenza, l’ebreza ne faseva rodolar sul’erba e corare come liegori.
La mama Clelia la rideva, pensando chisà se doman ghe bastarà poco a rendere contenti me fioi!….
(e anca me nevodi…..).
(Gianni)
NOBILE E GALANTE
Questi nomi così importanti il nonno materno Fiori Beloto (Florindo Tapparo) li aveva dati ai suoi due splendidi buoi pugliesi, che avevano dei magnifici corni, così superbi da fare concorrenza a quelli di Carlo Ripa da Meana (notoriamente consorte di Marina).
Magari li chiamava così per vendicarsi un pò contro la nobiltà del tempo, dato che ogni bastonata data sui trofei gli pareva di darla appunto a quella brava gente parassita.
I buoi, allora come adesso, non producevano latte nè vitelli, ma in compenso tiravano l'aratro, arando i campi in profondità; inoltre erano bravi a tirare il carro del fieno, tirare la "barela" (carro senza sponde) e inoltre producevano un concime (il letame) veramente ecologico.
Dopo aver preso degli accordi con le zie e il nonno Fiori, un pomeriggio di giugno, caricate le ultime masserizie della figliastra Clelia, il nonno attaccò i buoi per andare verso il centro di Zovencedo nella nuova residenza della Clelia e di Ulisse.
Sole splendido e caldo, buoi che soffiano su per la salita, profumo di frumento maturo e mosconi sul groppone delle bestie, le prime cicale che friniscono stordendo il cervello... il capitello di S. Antonio, e finalmente il carico arriva a destinazione.
Confusione, lo zio Marsilio, potente e saldo (altro che il Taricone bionico transgenico dopato) scarica la roba aiutato dalle sorelle Irma, Maria, Aurelia, Pasquina, sotto i nostri occhi di bambini incuriositi e frastornati dall'insolito evento.
Ma Gianni, era più incuriosito degli altri e attirato come una calamita dai due enormi bestioni Nobile e Galante che, fermi in mezzo alla strada, ruminavano coscienziosamente una manciata di fieno.
La voglia di imitare il nonno Fiori, il desiderio di stuzzicare questi bestioni per vedere che reazione avrebbero avuto, il tutto condito dal gusto del proibito, cioè dall'atavico senso della trasgressione (Eva docet), scatenò e fece scoppiare in Gianni la voglia di prendere in pugno un frustino fatto con un ramo di saggina.
La mano tremante per le tempeste armoniche di paura, di curiosità e di coraggio, si allunga verso il muso di Nobile, prima per accarezzarlo, poi per stuzzicarlo e infine per frustarlo decisamente, proprio imitando il nonno Fiori.
Il bue comincia ad agitarsi, scrollando il suo testone cornuto, muove qualche zoccolo raspando per terra, tenta di slegarsi dal giogo e infine ci riesce... precipitando dal muretto, sotto gli occhi esterefatti di Galante, e andando a piantarsi sino alla pancia nella merda del letamaio che il papà Ulisse teneva alimentato con le produzioni retrospettive della già numerosa famigliola.
L'Apocalisse descritta da San Giovanni Evangelista, credo che avrebbe fatto poca concorrenza alla scena che si verificò di conseguenza.
Gente che usciva dalla cucina, curiosi che accorrevano da tutte le parti come dannati dell'inferno dantesco, urlanti e sacramentanti e...e... il povero Gianni, pietrificato, a bocca aperta, occhi sbarrati, frustino in mano, aveva capito che era arrivata la sua ultima ora... il castigo divino che si stava manifestando come una saetta, come un rombo di fulmine...e infatti donna Clelia, materiale esecutrice del volere divino, munita di bastone e dotata di velocissime e nuovissime NIKE (sgalmare, cioè pesanti e chiodati zoccoli di legno), partì all'inseguimento del ribaldo figliolo.
"Più che la forza degli infantili arti potè la fifa boia, invitto motore in tali circostanze" (cfr, Dante, IV Canto Inferno e dintorni).
Infatti, dopo aver doppiato il quarto capitello del paese, l'inseguimento finì con getto della spugna e dei coturni della prode e ardita Clelia e totale sderenamento (sfinimento) dell'inseguito.
Conclusione: Il bue è stato tirato fuori, pulito e lucidato a nuovo. La merenda è stata prolungata fino a sera a causa degli infiniti commenti. Il povero diavolo di Gianni è rimasto davanti al capitello, cercando nuove invocazioni da inviare alla Addolorata, sentendosi accomunato dagli stessi sentimenti.
Più di qualche morale:
1) anche un Nobile può cadere nella cacca;
2) ci si può liberare anche dal giogo più pesante;
3) anche un bambino con un frustino può diventare una potenza, ovvero il frustino può rendere potente anche un bambino (vedi un Direttore di coro, per simmetria analogica)
4) può di più la paura boia di uno che scappa a piedi nudi, che la rabbiosa velocità dell'inseguitore NIKE munito (munito di sgalmare);
5) mai fidare nella solidità delle masiere (mura) fabbricate a secco.
6) i bambini piccoli vanno sempre tenuti al guinzaglio e dentro ad un serraglio!.
Rapida, frugale (pan e late… se costumava cusì alora), cenetta col sole ancora alto, parchè ale oto se và al “fioreto de magio”.
Insemenii dal’osamento che fa le rondini, imbriaghe de sole, dai profumi e dai colori dea primavera che s-ciopa da partuto, noantri toseti, in alegra armonia con tuto el creato, osèmo e coremo come mati, ris-ciando l’oso del colo ogni volta che femo le “scupelate” (cioè le capovolte) intorno al tubo de fero che xe impirà tra on paracaro e l’altro davanti la Cesa.
La campanela de Don Carlo (Godi) ne riporta un fià coi piè partera, anzi in cesa, a dire el “terzeto”…”Nel secondo mistero doloroso……(pausa)……….”Santa Maria Mater Dei…….(pausa). La testa scominsia a picolare… i oceti no vol saverghen de stare verti.
...Salve regina…(pausa)...Santa Dei genitrix …(pausa)
...ora pro...ron...ron...zzz….zzz….e le scupelate le continua in tel sogno e anca el ciupa –scondare…
Intanto, finia la cerimonia, la fameja torna casa, e la mama Clelia sospeta calcosa: “Uno, du, tri e ...orco can, ghin manca uno!”. Via tuti a sercare de qua, de là, de su, de xò. No se trova el quarto...Dove polo èssare? Vuto vedare che….Va da Don Carlo, versi la porta de la cesa e...destirà come on biso al sole, sora na panca, se trova finalmente queo che manca, beatamente indormesà tra i serafini e i cherubini. El brusco, sgradito risveglio, riporta el puteo a la dura realtà de qualche brontolamento...ma tuto se risolve co na gran risata liberatoria de tua la fameja!
Morale: Anca da putei lo spirito xe forte, ma la carne sé debole e così sia.
(Gianni)
D’Estate, noi bambini, dopo una lunga giornata di giochi e anche qualche marachella, ci si radunava in gruppo con altri bambini del paese (Zovencedo) per andare alla fontana a lavarsi im piedi. Si faceva una lunga catena con sandali e zoccoli e, tutti felici, giù alla fontana del paese, lontana forse un centinaio di metri. Di solito, veniva alla fontana per abbeverare il suo cavallo anche un giovane del paese. Noi ci divertivamo a cojonarlo e questi si divertiva a spaventarci: cioè ci rincorreva e se riusciva a prenderci, ci metteva con il viso sotto la bocca del suo cavallo.
Così, quando noi lo vedevamo arrivare con il suo cavallo, si scappava più veloci che si poteva.
Ricordo anche quando, finita la scuola, invece di tornare subito a casa, appoggiavo per terra la mia stupenda cartella di coccodrillo stampato (leggi: cartone) e mi fermavo spesso e volentieri con i miei compagni a giocare le “olgie” (bottoni), oppure, se ero più fortunata, con le palline di terracotta colorata; ma la mia sfortuna al gioco e anche la mia poca bravura mi facevano perdere quasi sempre.
Comunque, come si dice, “sfortunata al gioco, fortunata in amore”….
(Teresa)
ULISSE: INGEGNO, FANTASIA,TECNOLOGIA
Uomo molto ingegnoso, Ulisse era riuscito a costruire e ad attivare delle apparecchiature, per i tempi, sbalorditive.
Per esempio, aveva assemblato un sistema per la produzione del gas acetilene,utilizzando per
l'illuminazione della buia cucina. Un grande bidone copriva un sottostante recipiente nel quale veniva depositato pezzo a pezzo il "carburo" il quale a contatto di acqua fatta stillare goccia a goccia, produceva questo gas che si raccoglieva nella parte superiore del bidone, e tramite un' apposita conduttura, alimentava un lume costituito da una "retina" bianca refrattaria al calore che spanoleva una viva luminosità bianca.
Era il 48 e tutti a Zovencedo usavano le candele a petrolio.
IL CINEMA
Inoltre, il bravo Ulisse era riuscito a procurarsi, chissà come, un motore a scoppio e a collegare con una dinamo (forse esiti di guerra), nell' intento (riuscito) di produrre un generatore di corrente.
Il principale utilizzo di questa energia elettrica consisteva nell' alimentare una macchina cinematografica, riuscendo quindi a riprodurre nelle pellicole, in bianco e nero, senza audio, su una parete bianca della cucina.
Inutile dire che tutta la gente avrebbe voluto assistere alle proiezioni del maestro anche perchè, oltre alle note comiche di Ridolini si proiettava anche una pellicola che, all' epoca era piuttosto scabrosa ;
"IL FAUST" .I contenuti erano considerati immorali e conturbanti, per cui il prete don Carlo Godi lanciava feroci strali e anatemi contro questo costume e la sua possibilità di diffusione, prospettando sicure fiamme infernali verso chi osava proiettare e/o assistere a questo film che contemplava la possibilità di vendersi l'anima a Belzebù.
Per molti anni in seguito io avrei tentato, di nascosto, di rivedere quei fotogrammi tramite una macchinetta da proiezione azionata manualmente, non riuscendo mai, peraltro, a soddisfare la mia curiosità nella ricerca di chissà quali contenuti piccanti.
L'ALTALENA
Un bel giorno, forse nel '48, d'estate tarda, il buon Ulisse mi prese per mano e disse: "Desso 'ndemo a tore on bel palo de castegnata par fare na altalena".
Io non sapevo bene cosa fosse questo attrezzo e quindi... via! assetato di curiosità, attraverso boschi e sentieri, finchè il contadino, aiutante di Ulisse, disse: "Maestr, 'stochive l'è on bon palo adato".
Detto fatto, portato a casa, il palo subì una serire di lavorazioni, tipo trivellatura centrale per inserimento del perno, sistemazione di un paio di seggiolini alle estremità che consentivano anche di attaccarsi con una certa sicurezza, ed infine asportazione e levigatura finale della corteccia.
L'inaugurazione dell'altalena provocò in tutto il paese una grande risonanza da parte dei fanciulli che volevano provare l'ebbrezza di salire rapidamente a 4 - 5 metri, ma anche ansietà da aprte dei rispettivi genitori, specialmente della Clelia, che continuava a ripetere "Ulisse te sì mato patoco".
In realtà non successe mai niente di grave, se si escludono sbucciature ed escoriazioni di lieve entità.
LA DOCCIA
Un'invenzione piuttosto modesta, ma di grande utilità, consisteva in un piccolo bidoncino da circa 5 litri, ricavato da una lattina di olio Carli, cui era stato applicato un rubinetto meccanico nel fondo.
Questo consisteva di farci delle docce calde anche d'inverno, con acqua preriscaldata sul fuoco.
Però, noi non andavamo in estasi, quando d'inverno, seppur raramente, la mamma ci faceva la doccia.
Anzitutto perchè il sapone di Marsiglia usato ci entrava negli occhi, poi perchè l'acqua era o troppo calda o troppo fredda.
Infine, ecco il dramma, immenso, inevitabile, ancorchè prevedibile: con il corpo ancora fumante si doveva indosare la "fanela del lana de piegora" (grezza) confezionata dalla Ina Capelana. Questa flanella irritava la pelle in modo così violento da indurre tutti ad urlare e quindi a scatenare qualche grosso scapaccione.
stessa cosa anche per le calze di lana, che, si diceva, riuscissero a stare in piedi da sole, grazie alla loro rigidità.
Quando, dopo aver portato questi strumenti di tortura per settimane e settimane, una volta addomesticati, riuscivi a sopportarli, era ora di ripetere la medesima liturgia.
Come un animale, subdorando un pericolo imminente cerca di evitarlo con una fuga cieca, assurda e disperata, così noi, cercavamo invano di fuggire sui "costoli dei nanei", finchè non ci raggiungeva implacabile la lunga mano della giustizia, con le debite conseguenze.
L'ORTO GIARDINO
L'orto giardino di casa, curato da Ulisse con pazienza e amore, era oggetto e soggetto di tutti i nostri sogni, divertimenti e malanni (ve ricordeo de Nibole e Galante tombè, cioè caduti, nel luamaro?).
Le piante da frutto, pesco, albicocco, susino, melo annunciavano, in sequenza, l'arrivo della primavera con i loro smaglianti colori, il sacromoro (sicomoro - lillà) contornava con il suo delicato e intenso profumo i bordi dell'orto. Poche zeleghe (passeri), ma tantissime rondini volteggiavano garrule nei limpidi cieli di primavera, e il profumo di violette, nasturzi, primavere, si diffondeva nell'aria mescolandosi a quello dell'erba.
La felicità somma arrivava nell'aria quando nel pomeriggio, appartandoci in un angolo del giradino, io e Gigi, seduti sopra un fusto di petrolio vuoto, simulatore per noi dell'automobile dei nostri sogni, ci illudevamo di essere due ricchi borghesi che si facevano trasportare da una lussuosa fuoriserie (epoca 1949!).
E, senza tanto preoccuparci del recondito significato etimologico - sintattico. grammatica.e, ripetevamo all'infinito, ritmicamente "La macchina del capo ha un buco nella gomma, la macchina del capo ha un buco nella gomma...." Chissà da chi e da dove avevamo mutuato la cantilena?
LA GARA DEI BISSI
Quando arrivava luglio/agosto, tr i vari modi de divertirse, tipo zugare a olge (bottoni del vestiario), corare col zercio, vi era anche la "gara dei bissi".
Ecco allora che i più grandicelli, istruttori già esperti, procuravano da qualche campo le piante de sucara, più lunghe possibili. Allora ci radunavamo tutti agli sgualivoni sottto Nanei, naturlamente nelle ore più calde della giornata.
La gara consisteva nel trainare queste liane de sucara in modo da produrre più polvere possibile.
Vinceva naturlamente, per acclamazione, che provocava più polvere degli altri; el parsigolaro gavea tuti i so fruti neri così imbiancà da parere on albero de Nadale.
Questa era un pò la nostra vita da putei: sempre piena di interessi, di inventiva, di fantasia e di iniziativa, uniti nel più profondo spirito di solidarietà e ancor più accomunati dallo spirito di "birbantada". In tal modo non vi era spazio èer la noia, il disinteresse, la mancanza di motivazione, tutti malanni moderni inventati e cavalcati con molto interesse dai nostri "strizzacervelli".
Oggi abbiamo, fin dall'infanzia, il gioystik, il cellulare, l'esseemmeesse, il WAP, il video game, l'ACR, le ferie esotiche, vestiti e accessori griffati. Ma forse è morta un pò l'iniziativa, la fantasia e il conseguente "sognare ad occhi aperti...", e con essi la "gioia di vivere".
LA INA CAPELANA:un tenero ricordo
I confinanti nostri, la Ina Capelana (Ina sta per Rosina), sposa devota di Toni Capelan (el caregaro, cioè fabbricante di sedie), avevano il compito di fare da padrini di battesimo a noi tutti, nati anno dopo anno; ovviamente non si usava certo fare regali ai figliocci, anche perchè era impossibile trovare la materia prima.
D'altra parte, la buona Ina Capelana, appena ci vedeva nel suo cortile, ci chiamava dentro a farci bere un pò di latte della sua capretta, amorevolmente allevata in casa, o per farci assaggiare un cucchiaio della sua squisita casatela avvolta nelle foglie de moraro (gelso) o de visela (vite); Toni Capelan, intanto, aria da San Giuseppe, ci faceva vedere come impagliava le vecchie sedie, restituendo loro una fiera dignità, quasi fossero nuove.
La Ina, a volte, ci dava 15 lire con le quali comprare 5 lire di estratto di conserva (sfusa) e le rimanenti 10 lire di zucchero.
La Gina, o Oreste, venditori di ogni genere di alimentari, sale, tabacchi o chinino e altro, cifacevano 2 cartoccetti: in quello azzurro c'era lo zucchero, in quello giallo ocra la conserva, avvolta a sua volta in una carta oleosa.
Mettere carne fresca vicino ad un gatto ("da lunghi digiuni provato"), proibendogli di assaggiarla è tanto realistico così quanto pretendere che sia lo zucchero che il triplo concentrato di pomodoro rimanessero indenni dai nostri ripetuti attacchi cammin facendo. Il tenero rimbrotto della Ina Capelana (Ah, birbanti!...) non era paragonabile ai latrati cerberiani di mamma Clelia!
Per penitenza ci faceva recitare, in ginocchio, tutto lo scibile di preghiere, di dogmi della chiesa, comandamenti, sacramenti, precetti, vizi capitali, atti di fede, speranza, carità, dolore, virtù teologali, ed infine, prima dei quattro novissimi (morte, giudizio, inferno, paradiso), i quattro peccati che "gridano vendetta al cospetto di Dio". Dunque: peccato impuro contro natura (cosavolessedire? boh!); ostinazione nel peccato, rifiuto dell'aiuto di Dio ed infine "defraudare la mercede agli operai"... che, a quei tempi, ancora fermi alla Topolino FIAT, Balilla, Appia la Mercedes proprio non si sapeva cos'era perchè arrivò ben più tardi.
Mah, la preveggenza di Santa Madre Chiesa!!