Ulisse 1937
Ulisse 1938
San Giovanni 1957: Ulisse con la mitica Ariel 250.
Ulisse nel suo ufficio alle scuole elementari di Barbarano nel 1967
MARIANO ZEFFIRO E FAMIGLIA (dai ricordi di mamma Clelia)
Il primo Zeffiro di cui si conserva la memoria è Mariano Zeffiro, padre di Ulisse Zeffiro e di altri otto fratelli (5 femmine e 4 maschi).
Mariano nasce nel 1880, non sappiamo i nomi dei suoi genitori perché Mariano è stato trovato in un "luogo pio". L'origine del cognome "Zeffiro" (in realtà Zaffiro), deriva dalla pia consuetudine di dare ai trovatelli un cognome di fantasia ispirandosi al nome di pietre preziose (Rubino, Smeraldo, Zaffiro, Diamante, ecc.), quasi a riscattare il disonore di essere senza un padre e una madre disposti a riconoscere un figlio.
Non abbiamo notizie sull'infanzia e la giovinezza di Mariano; verosimilmente possiamo presumere che siano stati periodi difficili, vista la congiuntura storica (primi anni del Regno d'Italia) e vista la mancanza di affetto che i bimbi allevati in Istituto generalmente subivano.
Possiamo immaginare che Mariano, una volta uscito dall'Istituto all'età in cui poteva lavorare, abbia trovato impiego come stradino, mestiere che esercitò insieme alla coltivazione di quattro campi come fittavolo. Si sposò inizialmente con Maria Cozza, dalla quale ebbe un solo figlio, Ulisse, nato nel 1905 a Colzè.
Maria morì di tifo, quando Ulisse aveva quattro mesi; la malattia del tifo a quel tempo era molto diffusa, sia per le precarie condizioni igieniche, sia per lo scarso tenore di vita. Ad Ulisse hanno riferito che la madre, durante l'allattamento, aveva i seni duri come il marmo. Possiamo dedurre una morte dolorosa, ma forse la scorza di quel tempo era abbastanza abituata a confrontarsi con la morte di giovani mamme e bambini neonati.
Circa tre anni dopo Mariano si risposò con Aurelia Carli dalla quale ebbe, in seguito, otto figli (3 maschi e 5 femmine).
Ulisse raccontava che Mariano era un padre molto duro e autoritario (come del resto si usava a quel tempo); aveva un temperamento irascibile e non ammetteva di essere contraddetto. Un piccolo episodio può aiutarci a capire alcuni tratti del suo carattere: una volta gli era capitato che la mula si era bloccata in mezzo alla strada e non voleva più saperne di andare avanti. Dopo aver frustato e imprecato contro la bestia, visto che non otteneva nulla, le ha dato un potente morso all'orecchio quasi da staccarglielo.
Infanzia di Ulisse
Anche il rapporto con la matrigna Aurelia fu difficile: Ulisse racconta che lei lo maltrattava e faceva apertamente delle preferenze per la sorella Giustina. Ad esempio Giustina riceveva il cibo migliore (come l'ovetto sbattuto) e Ulisse quello peggiore, oppure non riceveva cibo. Ulisse doveva sbrigare tutte le faccende domestiche e veniva continuamente rimproverato e castigato dalla matrigna che invece risparmiava tutti i lavori a Giustina. Quando Ulisse andava per acqua, doveva portare un pesante "bigolo" (specie di attrezzo per portare due secchi appesi ai lati) sulle spalle; i secchi pieni d'acqua continuavano a sbattere dolorosamente sulle "sgalmare" (zoccoli di legno con borchie sulla suola) e sulle gambe, fatto che scatenava un torrente di bestemmie (forse non tutti sanno che Ulisse, da ragazzo, si definiva un grande bestemmiatore). Insomma, pare di rivedere la favola di Cenerentola con Ulisse che ne reinterpretava la parte. Naturalmente il risentimento di Ulisse per la sorella minore (sentimento già insito naturalmente nei piccoli), non poteva che crescere di giorno in giorno.
Una volta, profittando dell'assenza della matrigna, Ulisse legò la sorella Giustina ad una pianta e sadicamente di "divertì" a riempirla di "bacchettate" fino allo sfinimento. Immaginate le urla della malcapitata! E soprattutto immaginate le reazioni della sua mamma e del suo papà. Ulisse, prevedendole in anticipo, pensò che per lui, almeno quella sera, era meglio rimanere fuori casa. Così andò a dormire da una sua zia che gli voleva bene. Ulisse racconta che, nella notte, un cane entrò silenziosamente e misteriosamente in camera sua, appoggiò le zampe al letto e gli leccò la faccia; poi sparì altrettanto misteriosamente senza il minimo rumore. Ulisse pensò che si trattasse di una incarnazione del demonio. In un altra occasione, da ragazzino, Ulisse disse di aver percepito la presenza del demonio. Si trovava in un bosco in compagnia di una ragazzina per giocare; all'improvviso apparve un prete alto e magro, tutto vestito di nero, che li richiamò severamente dicendo: "Cosa feo qua? ". Non sappiamo poi come sia andata a finire; sappiamo solo che la vita in casa si faceva sempre più difficile per Ulisse, tanto da indurlo, su consiglio della zia (persona assai pia e religiosa) a lasciare definitivamente la sua famiglia per entrare in convento.
Mariano era contrario a questa idea del figlio: la famiglia cominciava a diventare numerosa ed era naturale contare economicamente sul lavoro del primogenito. Ma la decisione di Ulisse sembrava irremovibile; il carattere di Ulisse non era meno risoluto del padre che lo ammonì con queste dure parole: " Vardala ben sta porta: se te ve fora da qua non tea vedarè più; ricordate che se un giorno te vorè tornare indrio questa non la sè pì la to casa!".
Fu così che Ulisse se ne andò di casa di notte, scappando dalla finestra e scendendo per il tronco contorto di una vite rampicante
Giovinezza di Ulisse
Quando Ulisse entrò in convento (in provincia di Savona), dovette adeguarsi alle dure regole del tempo. Frequenti erano le penitenze; per esempio i frati usavano mettere la cenere nella minestra o l'erba ruta (notoriamente amarissima). Del resto il cibo era scarso e scadente; spesso si pativa la fame. Tuttavia Ulisse si distingueva per la generosità, dando agli altri quel poco che aveva; per questo, a volte, veniva addirittura ripreso dai suoi superiori: "a voi vi resta solo il torsolo!", gli dicevano.
La malnutrizione e i sacrifici, forse furono all'origine delle malattie successive, in particolare della tubercolosi.
La malattia alla gamba
A venti anni Ulisse contrae una grave malattia alla gamba sinistra che lo rende praticamente invalido. Il piede non funziona più e gli provoca dei fortissimi dolori, tanto da impedirgli di camminare; sembra si trattasse di mancanza del liquido sinoviale (necessario per il normale funzionamento delle giunture). Tutto era iniziato dopo una grande camminata, una specie di gara di resistenza fatta durante una gita con i compagni del convento. Da quel giorno il dolore al piede andò aumentando, fino al punto da indurre i superiori di Ulisse a rispedirlo a casa. Papà Mariano, nonostante l'anatema lanciatogli da ragazzo, lo accettò e gli diede ospitalità.
La situazione era difficile da accettare; Ulisse, essendo invalido, per vivere doveva sempre dipendere dalla sua famiglia di origine. Per guadagnare qualcosa rilegava i libri, ma tutto quello che prendeva doveva metterlo in casa ("chi magna gà da metere in tel mucio" diceva Mariano).
Visto che la gamba gli faceva sempre male e visto che non poteva essere indipendente, Ulisse, contro il parere dei medici, decise di farsela amputare. Da quel momento la gamba sarà sostituita da una protesi che Ulisse porterà per tutta la vita.
Gli studi all'Istituto Santa Chiara di Vicenza
Dopo l'operazione riprende gli studi interrotti; in convento aveva frequentato il ginnasio; per completare gli studi si stabilisce a Vicenza, presso l'Istituto Santa Chiara, dove frequenta la scuola Magistrale (al Fogazzaro?). Per pagare la retta, Ulisse si offre come precettore: La vita in istituto è dura: il cibo è scarso, cattivo e monotono. Sette giorni su sette si mangia solo riso e fagioli conditi con grasso di cavallo. In compenso Ulisse impara una grande quantità di mestieri: muratore, elettricista, meccanico, falegname, ecc. ecc.; spesso si recava nelle famiglie per fare dei lavori a domicilio.
La tubercolosi
In questo periodo si ammala gravemente di tubercolosi. Sappiamo che a quel tempo la malattia poteva essere letale. I medici gli consigliano di recarsi in montagna per un periodo di riposo. Ulisse si reca a Conco, da una famiglia, dove soggiorna grazie all'aiuto economico di alcuni benefattori. La grande povertà lo educa a risparmiare su tutto e a utilizzare anche quello che altri avrebbero buttato via. La malattia lo prostra fisicamente ma non spiritualmente; grazie ad una volontà ferrea (caratteristica dei Zeffiro che sconfina spesso con la testardaggine), riesce ad imporsi sul male e a guarire. Torna in Istituto e si diploma a 27 anni.
Primi impieghi
Dopo il diploma comincia a fare supplenze nei posti più sperduti della provincia. Viene ospitato "a dozzina" dai preti (cioè dorme nelle dipendenze delle canoniche).
Ulisse era un maestro "severo"; emanava autorevolezza e sapeva mantenere perfettamente la disciplina. Tra le altre supplenze, gli capitò di sostituire una maestra che era stata rinchiusa in aula dai suoi alunni. Gli bastò una mattinata per riportare l'ordine e la disciplina (senza il bisogno di dare particolari punizioni).
Per un periodo lavora come precettore all'Istituto "Buoni fanciulli" di Costoza. Poi arrivano le supplenze annuali. intanto si fidanza con una ragazza di Colzè (sorella di sua cognata); la relazione dura sette anni, fino al giorno in cui Ulisse riceve un incarico annuale a Zovencedo. Siamo nel 1937. Il "Maestro" (così era chiamato allora in paese), si stabilisce in un pensione (detta dai "Nanei") e lascia la fidanzata (che, disperata, minaccia di togliersi la vita).
Maestro a Zovencedo
Ulisse insegna in due classi contemporaneamente (avere un solo maestro per classe era considerato un lusso eccessivo); cura personalmente anche la pulizia dei locali (ovviamente non c'erano bidelli).
Nel frattempo i rapporti con la famiglia d'origine si sono rasserenati; i fratelli spesso vengono a trovarlo e Ulisse li aiuta economicamente, nei limiti delle sue possibilità. Mai una volta Ulisse rinfacciò o rivangò le umiliazioni e i soprusi subiti; possiamo dire che per tutta la vita Ulisse non serbò mai rancore o sentimenti di vendetta per nessuno..
L'incontro con Clelia
Ulisse conosce Clelia fin dal primo giorno che si stabilisce a Zovencedo. Al mattino insegna alla scuola elementare; la sera decide di fare un giretto in bici per ambientarsi nel paese. Quasi subito, quasi per prima, incontra Clelia, allora sedicenne, mentre tornava dal campo, dopo aver seminato il sorgo. Ulisse le rivolge gentilmente la parola: "Come sea sta strada che va in zo?". Clelia risponde: "La sè ripida e pericolosa". Ulisse ribatte scherzosamente "Anche tornando indrio?".
In seguito Ulisse incontra Clelia alle prove di canto (in parrocchia era l'anima del canto perchè gli piaceva cantare e gli piaceva la musica). Lei aveva 16 anni, lui 31, ma la differenza di età e la menomazione alla gamba non sembrano minimamente preoccuparlo. Ulisse chiede in giro a molte persone: "Ma chi sela quea bea tosa?".
Dopo qualche tempo, scrive a Clelia una lettera - dichiarazione che inizia con queste testuali parole: "Gentile signorina, mi dica anche pazzo, ma non posso dire l'immenso affetto che ho per lei..." Poi aggiunge: "l'uomo forse è vecchio, ma il cuore è giovane".
Nasce così un fidanzamento; all'inizio (e anche in seguito) non è un legame molto convinto. Clelia è dubbiosa per la differenza di età, per la differenza di condizione sociale (contadina - maestro), per la menomazione della gamba. Tuttavia Ulisse è simpatico, ha sempre la battuta pronta, una buona parlantina, è un "uomo di chiesa", infine non è affatto brutto, tanto è vero che molte ragazze gli fanno delle esplicite "avance".
Le amiche ritengono Clelia "fortunata" (sposare un maestro era considerato un modo per elevarsi socialmente) e la spingono al gran passo. La sua mamma Marina, invece, prudentemente, la consiglia di pensarci bene: "se el te piase sposalo, se no fa de manco".
Nel dubbio, alla fine, pesa l'ultimatum di Ulisse: "O mi sposi, o ti lascio" (anche perchè, nel frattempo si era fatta avanti un'altra pretendente).
I fratelli di Ulisse
Prima di riprendere la storia, torniamo un attimo indietro per parlare dei fratelli di Ulisse. Il più vecchio (classe 1911) si chiamava Florio (detto Nini); morì una mattina, intorno al 1945, andando a lavorare, lungo un "terraglio", per lo scoppio di una bomba a farfalla rimasta inesplosa. La bomba lo dilaniò, ma sopravvisse qualche giorno.
Giustina (1909), mamma di Luciana Lotto, morì a 91 anni di vecchiaia (acciacchi vari). Albina (1913), morì a 72 anni (circa) a causa del morbo di Alzaimer (demenza). Antonio (1914) morì per demenza senile (forse Alzaimer?) all'età di circa 70 anni. I sintomi della malattia cominciarono a manifestarsi in una circostanza precisa: Antonio, notoriamente prudente, attraversò in auto un incrocio con il semaforo rosso. Da quel momento Antonio non è stato più sè stesso; la malattia mentale è progredita rapidamente e lo ha portato in istituto Salvi dove è morto. Patrizia, (1920) conosciuta anche come suor Patrizia, è morta all'età di 81 anni per tumore al fegato. Vittoria (1921) è morta all'età di circa 40 anni a causa di una iniezione. Igina (1923) è morta all'età di 80 anni (circa) in uno stato di demenza. Marcello (1925) è stato uno dei figli prediletti perché ultimogenito.
Il padre Mariano morì nel 1965 in stato di demenza senile.
Notiamo, per inciso, che su 9 componenti della famiglia Zeffiro, 4 hanno avuto a che fare con problemi di demenza senile.
La mamma Aurelia morì nel 1958 a causa del morbo di Parkinson. (Ulisse quando la vedeva scherzava dicendo: "Ti si sempre drio contare i schei!").
Ulisse ci ha lasciato il 17 ottobre del 1968.